Negli ultimi mesi le decennali tensioni tra Israele ed Iran hanno raggiunto un punto critico mai raggiunto finora. Le cause di questa situazione sono da rintracciare in Siria e nella guerra che si è combattuta.
I rapporti fra Israele ed Iran si sono incrinati successivamente alla rivoluzione islamica iraniana del 1979 che ha trasformato l’Iran in una repubblica islamica sciita su principi religiosi. La figura simbolo del cambio di politica estera è rappresentata dall’ayatollah Ali Khamenei che nel 1981 è succeduto alla carica di Presidente dell’Iran al capo della rivoluzione Ruhollah Khomeini, e che oggi, dal 1989, mantiene la carica di Guida Suprema del Paese. Khamenei ha sempre incarnato una politica anti-occidentale, soprattutto contro gli Stati Uniti, e mirata all’affermazione dell’Iran in Medio Oriente. Il periodo in cui i rapporti fra Israele ed Iran si deteriorano definitivamente è quello seguente alla caduta del regime di Saddam Hussein nel 1991, in cui la retorica iraniana avvia la propria opera di demonizzazione verso gli USA e Israele che continua ancora. Infatti la Guida Suprema Khamenei insieme ai suoi collaboratori, non hanno mai nascosto le loro convinzioni rilasciando numerose dichiarazioni, dai caratteri molto forti, in cui annunciavano senza mezzi termini la distruzione d’Israele. Da questi accadimenti, Israele individua nell’Iran una seria minaccia alla propria sicurezza e all’equilibrio in Medio Oriente, e rafforza i propri confini soprattutto verso il Libano dove è nota la collaborazione fra l’Iran e il gruppo militare sciita Hezbollah che attacca ripetutamente il territorio israeliano. Le tensioni aumentano in occasione degli eventi che seguono lo scoppio della guerra civile in Siria nel 2011 che vedono l’Iran intervenire attivamente nel conflitto insieme ad Hezbollah, con la possibilità di creare basi militari in Siria da cui attaccare Israele. La reazione dello stato ebraico, che fino a quel momento non era intervenuto, non si fa attendere e, oltre a definire delle “linee rosse” sull’espansione iraniana in territorio siriano superate le quali afferma di lanciare un’offensiva militare, si realizza in bombardamenti contro veicoli trasportanti armi e agenti operativi di Hezbollah o più recentemente contro basi militari e depositi di armi iraniani presenti specialmente nel sud della Siria. In agosto l’esercito israeliano ha affermato di aver compiuto, solo nell’ultimo anno e mezzo, oltre 200 raid aerei in territorio siriano, numero che, specialmente con l’aumento delle tensioni negli ultimi mesi, presenta oggi un bilancio molto più alto; attacchi che il governo israeliano non ha mai confermato. Il riferimento all’aumento delle tensioni fra Israele ed Iran si precisa in data 8 maggio 2018 quando il presidente americano Donald Trump ha deciso di uscire dall’accordo sul nucleare del 2015 del 2015 – il trattato, di 100 pagine e 5 allegati, prevedeva la rimozione delle sanzioni internazionali imposte all’Iran (eliminazione e non sospensione), a fronte di una serie di restrizioni al programma nucleare di Teheran – promosso dal suo predecessore Barack Obama, e di rinnovare le sanzioni contro l’Iran, assecondando in questo modo le preoccupazioni del governo israeliano. Infatti, lo stato ebraico si è sempre preoccupato della possibilità che Teheran si possa dotare di armi nucleari e si è fatto sostenitore di una linea d’azione dura contro lo stato guidato dal Presidente Hassam Rouhani. La reazione del governo iracheno è stata molto netta, dichiarando che, in mancanza di nuovi negoziati per salvare l’accordo, di essere pronti a riprendere il prima possibile l’arricchimento dell’uranio. Il secondo evento critico fra Tel Aviv e Teheran è stato l’annuncio degli Stati Uniti di cominciare a ritirare le proprie truppe dal territorio siriano a gennaio di quest’anno. Questa notizia ha generato forte preoccupazione in Israele per le possibilità delle milizie irachene e di Hezbollah di estendere la propria presenza e libertà d’azione in Siria e di rivolgerle contro Israele. Difatti queste preoccupazioni si sono tradotte in realtà: nella notte di domenica 20 gennaio il sistema di difesa aereo israeliano ha intercettato in volo un missile terra-terra iraniano diretto contro le alture del Golan che, come sostiene il portavoce militare israeliano, sia di fabbricazione iraniana e che non sia mai stato usato nella guerra in Siria ma intromesso in territorio siriano con l’unico intento di attaccare Israele. La risposta d’Israele non si è fatta attendere e il 21 gennaio è stato effettuato un raid aereo contro postazioni iraniane nei pressi di Damasco, provocando 11 morti. La novità è stata che per la prima volta Israele ha ufficialmente dichiarato il raid, indicando chiaramente l’Iran come nemico da combattere in nome dell’autodifesa. Dall’altra parte lo stato iraniano non ha mancato l’occasione per lanciare una nuova minaccia: “siamo impazienti di combattere il regime sionista ed eliminarlo dalla Terra” a cui ha replicato il premier israeliano Benjamin Netanyahu “non possiamo ignorare le esplicite dichiarazioni di Teheran sulla sua intenzione di distruggerci così come sostenuto dal comandante dell’aviazione iraniana. Israele dunque non può soprassedere sugli atti di aggressione dell’Iran e ai suoi tentativi di rafforzarsi militarmente in Siria. Chi cerca di colpirci, noi lo colpiamo. Chi minaccia di distruggerci subirà le conseguenze”. Perciò, in questo momento la situazione in Siria e le tensioni, critiche, fra Israele ed Iran sono molto vicine al punto di rottura. Non è tuttavia un caso che la linea dura recentemente adottata dal primo ministro israeliano Netanyahu avvenga in piena campagna elettorale in vista delle elezioni parlamentari del 9 Aprile.