Europa

Vaccino contro il Covid-19: la distribuzione in Europa

Dopo mesi di attesa, continui rinvii e speranza è iniziata in Europa la distribuzione del vaccino contro il Covid. Quando sulle prime pagine dei giornali è apparsa questa notizia l’intera Comunità Europea ha pensato di essere ad una svolta che determinasse l’inizio della sconfitta del virus.

Il 9 novembre 2020 venne pubblicamente annunciato che l’americana Pfizer e la tedesca BioNTech erano riuscite a mettere a punto un vaccino efficace al 90% e da lì, nel giro di poche settimane, si inaugurarono in molti paesi i V-Day, prima fra tutti la Gran Bretagna che regalò al mondo l’emblematica immagine della novantenne Margaret Keenan, la prima persona in Occidente a ricevere il vaccino.

La rapidità con cui si era giunti alla sintesi di un vaccino risultato efficace, dopo i vari test di routine, ha talora sollevato dubbi e perplessità nell’opinione pubblica. Di norma “il tempo impiegato a sviluppare un vaccino è molto lungo e prevede un alto tasso di insuccessi. Il periodo di ricerca preliminare, infatti, può andare dai due ai cinque anni e, per arrivare allo sviluppo completo del prodotto, possono passare anche dieci anni” afferma il professore A. Mantovani, direttore scientifico di Humanitas. Al netto però dell’inarrestabile ed incontrollabile diffusione del virus Sars-cov-2, la corsa al vaccino ha accelerato e drasticamente ridotto le tempistiche di creazione e sperimentazione.

Nonostante le prime perplessità il vaccino però è stato somministrato e addirittura, finora, le dosi non sono state sufficienti per poter vaccinare tutti coloro che lo richiedevano. Al di là di casi isolati di effetti collaterali dopo la prima dose, la campagna di distribuzione delle dosi in Europa è decollata seguendo un preciso piano di controllo strategico promulgato dalla Commissione Europea già il 15 ottobre 2020. Ursula von der Leyen ha dichiarato che nell’ambito della sua strategia si era adoperata al fine di stringere accordi con le singole case farmaceutiche produttrici dei vaccini, i quali, una volta disponibili, sicuri ed efficaci sarebbero stati resi accessibili a tutti gli stati membri contemporaneamente. Le scoperte dei vaccini sono “luci di speranza” se sono “a disposizione di tutti”. Lo ha detto il Papa nella benedizione Urbi et Orbi del 25 dicembre chiedendo di evitare che “le leggi di mercato e dei brevetti siano sopra le leggi della salute e dell’umanità”. Il Papa invita a pensare che “il dolore e il male non sono l’ultima parola.”

Il Papa ha esortato tutti, fedeli o meno, a considerare con serietà e responsabilità l’opportunità di essere vaccinati per consentire a sé stessi, ma soprattutto agli altri, di potersi tutelare e tornare a vivere pienamente. In modo particolare il Papa si è rivolto ai responsabili degli Stati, alle imprese, agli organismi internazionali chiedendo loro di “promuovere la cooperazione e non la concorrenza, e di cercare una soluzione per tutti” per evitare che questa malattia assuma la forma di un “virus dell’individualismo radicale” ed egoista che ci rende indifferenti davanti “alla sofferenza di altri fratelli e sorelle” (Messaggio Urbi et Orbi del Santo Padre Francesco del 25 dicembre 2020).

Con l’approvazione da parte dell’EMA, l’agenzia europea dei medicinali, del vaccino Pfizer, seguita da quelle di Moderna e AstraZeneca, agli stati membri è stato chiesto un inizio sincronizzato simbolico della vaccinazione il 27 dicembre. Il grande clamore mediatico di tale avvenimento ha portato alla luce le prime divisioni. L’Ungheria ha deciso di ignorare la richiesta di un inizio coordinato, cominciando a somministrare ai volontari le prime dosi ricevute dallo stabilimento Pfizer immediatamente dopo la consegna. A gennaio 2021, a vaccinazione di massa iniziata, le differenze di strategie di ogni paese membro sono state messe in evidenza da una diversa velocità delle somministrazioni.

È stata solo questione di tempo perché le prime controversie venissero allo scoperto: la Germania, promotrice con Italia, Francia e Olanda dell’acquisto centralizzato europeo, è stata accusata di aver precedentemente stilato un accordo con Pfizer per 30 milioni di dosi supplementari, oltre le 300 assegnate. Il ministero della salute tedesco si è giustificato dicendo che l’acquisto è stato fatto in un momento in cui il vaccino di Moderna non era stato ancora approvato dall’EMA e si temeva che le dosi comunitarie non fossero sufficienti per raggiungere l’immunità di gregge tedesca in tempi brevi. Tale spiegazione, insieme a una dichiarazione di Stefan De Keersmaecker, portavoce della Commissione, in cui si afferma che le dosi aggiuntive fanno parte dei negoziati collettivi dell’UE, non hanno comunque convinto Bruxelles, dato che l’accordo tedesco è stato portato a termine due mesi prima della firma del contratto Pfizer. Il sospetto di un accordo interno tra governo tedesco e azienda tedesca BioNTech ha destato diversi malumori in Europa.

Dopo un inizio relativamente spedito, specialmente in Italia e Germania, la speranza di una vaccinazione rapida di tutta la popolazione è svanita a causa di problemi di fornitura dalle case farmaceutiche. Il mea culpa è arrivato direttamente dalla presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen, che ha dichiarato, tra le altre cose, di aver sovrastimato la capacità di produzione delle case farmaceutiche.

L’appello alla solidarietà e alla trasparenza è stato unanime da parte dei gruppi parlamentari europei democratici e socialisti. La socialista spagnola Iratxe García Pérez ha fatto un appello contro un “nazionalismo sanitario” aggiungendo che solo l’unità potrà portare alla vaccinazione di 380 milioni di abitanti europei prima dell’estate e che questa impresa non può essere rovinata da contratti paralleli e acquisti diretti.

In vista dell’assemblea Organizzazione Mondiale della Sanità, 140 personalità della comunità scientifica e politica si sono uniti per un appello affinché il vaccino Covid sia libero dai brevetti e gratuito; se infatti in ambito europeo la Comunità si fa responsabile di evitare disuguaglianze tra paesi membri più e meno abbienti, tale garanzia non sussiste per i paesi extraeuropei. Il rischio è che paesi più poveri, come alcuni stati africani, vengano esclusi dalla campagna di vaccinazione per ragioni di profitto. La risposta dell’Unione Europea a tale richiesta è la proposta di un meccanismo volontario di negoziazione collettiva delle licenze dei brevetti tra stati e case farmaceutiche e condivisione di dati su test e terapie, che possa abbassare i prezzi per dose e rendere l’accesso al vaccino più facile anche per le popolazioni più povere.

Un segnale positivo in questa direzione lo ha lanciato la presidente von der Leyen, lo scorso 19 febbraio durante il G7, annunciando lo stanziamento di ulteriori 100 milioni di Euro in aiuti umanitari per supportare la campagna vaccinale in Africa. Questa nuova somma si aggiunge ai fondi già forniti dal Team Europa a favore dello strumento COVAX.

Memori di questo ultimo anno di pandemia in un mondo globalizzato e in continua comunicazione è evidente che separazioni e individualismi non contribuiscono alla sconfitta del virus. Solo la cooperazione e la messa da parte di interessi personali ed economici possono portare il mondo all’uscita dalla crisi sanitaria internazionale per riportare benessere e salute nelle nostre vite. L’importanza di una buona politica è universalmente riconosciuta come cruciale nel gestire la crisi sanitaria. La lungimiranza della classe dirigente è fondamentale per decidere misure contenitive e organizzare strategie. Mai come oggi è evidente l’impatto che l’operato degli amministratori può avere sulla salute e sul benessere della popolazione. La speranza è che le classi politiche del futuro, memori della storia recente, riconoscano il bisogno di agire nella tutela delle prossime generazioni dando la giusta attenzione a beni primari e strutturali, come sanità e educazione mettendo al centro il valore della persona.

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