Una varietà infinita di colori, sapori, bellezze naturali, architettoniche ed artistiche; una ricchezza culturale che affonda le proprie radici in una delle civiltà più antiche del pianeta. Queste sono le caratteristiche dell’antica Persia, oggi Iran: una sorta di locus amoenus che pare scomparire dietro la rovinosa burrasca politico-economica che scuote il paese. Il rumoroso raid americano di gennaio a Baghdad è stato infatti solo la naturale conseguenza di tensioni che persistono da anni e che solo nel 2015 sembravano essersi allentate, grazie al Piano d’azione congiunto globale, più conosciuto come accordo sul nucleare iraniano.
Nel 2018 gli USA sono usciti unilateralmente dal patto rilanciando le sanzioni economiche contro il Paese mediorientale. Dunque, una nazione con potenziale economico fra i più elevati al mondo (dovuto, tra le altre cose, ai giacimenti di petrolio) vive paradossalmente il dramma della povertà.
L’Iran è reduce dalle recenti elezioni parlamentari dello scorso 21 febbraio, i cui principali connotati sono stati da una parte la bassissima affluenza, complice l’epidemia di coronavirus che vede l’Iran tra i paesi più colpiti insieme alla Cina e all’Italia, e dall’altra la ribalta dei conservatori sui riformisti di Rouhani, che rappresenta la maggioranza uscente. Erano stati infatti i riformisti ad accordarsi con gli Stati Uniti sul nucleare; inoltre la morte del generale Qasem Soleimani, considerato un modello da parte di molti iraniani, specialmente fra i giovani, ha suscitato una forte reazione conservatrice nella popolazione. Era considerato un simbolo di stabilità e forza, in paragone all’amministrazione politica nella quale gran parte della popolazione aveva ed ha perso la fiducia, specialmente dopo il voltafaccia USA.
Il risultato di questi ultimi concitati anni è un paese in emergenza, con un governo riformista non sostenuto dal parlamento fortemente conservatore.
Questo complicato contesto è oggetto principale della discussione internazionale, senza però che ci sia un effettivo interesse da parte dei media di raccontare come sia vivere in Iran. Fariba Hachtroudi, scrittrice iraniana, si batte da molti anni per raccontare un paese diverso. Sostiene infatti che in Europa non ci sia una profonda conoscenza di cosa accada in Medioriente. “Cosa bisogna fare dunque? Venire in Iran e dare un’immagine esatta di ciò che accade in questo paese”, dice in un’intervista rilasciata ad arabpress.eu. La scrittrice denuncia un paese pieno di contraddizioni: da un lato, la cultura è considerata un fondamento portante della società, l’istruzione giovanile è diffusa e di ottimo livello; dall’altro, la forte corruzione, la privazione di molte libertà personali e la forte instabilità economica hanno portato il popolo all’esasperazione. Essere iraniani nel 2020, dunque, significa dover convivere ogni giorno con la sensazione di essere seduti su un forziere d’oro, senza possederne le chiavi. Fariba confida nel popolo iraniano, è convinta che possa salvarsi da solo e che anzi nessun paese estero debba intervenire. È però anche molto lucida nel rendersi conto che se dovesse crollare completamente l’equilibrio fra il popolo e lo stato, l’Iran si vedrebbe esposto alle interferenze dei paesi esteri, pronti a sostenere una fazione piuttosto che l’altra, approfittando della situazione politica per ottenere benefici sull’importazione di petrolio. Fariba si rivolge a noi, chiedendoci di non fermarci alla superficie dei fatti di cronaca, ma di spingerci oltre e non considerare il Medioriente come una fonte di ricchezza, ma come la casa di persone con un volto, una storia, e una complicatissima vita da affrontare. L’invito principale che ci fa è quello di non confondere il popolo con il governo che, in paesi come l’Iran, sono ben lungi da essere la medesima cosa.
Jean-Paul Sartre disse che “quando il ricco fa la guerra, è il povero a morire”. Per l’Iran non si parla di una guerra in campo aperto, ma di una guerra di stampo politico-economico. Di qualsiasi genere di guerra si parli, infine, sono sempre i più deboli a scontare le pene conseguenti alle scelte dei più forti.