Il Medio Oriente è da sempre una terra teatro di conflitti e dolori la cui eco talvolta arriva alle nostre orecchie dall’uno o dall’altro giornale. Tra questi scontri, sicuramente una questione centrale emerge quando guardiamo alla terra contesa da israeliani e palestinesi, sulla quale la guerra si consuma ormai da decenni e dove ancora oggi la strada da percorrere verso la pace è lunga e faticosa.
Ci piace raccontare in questo contesto la storia di Valentina Sala. La nostra storia inizia quando lei, giovane studentessa laureata alla facoltà di ostetricia, si trova di fronte a tante domande e dubbi su quale futuro la accoglierà. Fu in quel momento che si fece sentire il forte desiderio di intraprendere il noviziato per dedicarsi alla vita religiosa. La consapevolezza della sua vocazione la portarono ad accantonare quell’immagine di sé in sala parto, circondata dal profumo della vita nuova, per intraprendere un percorso che fino ad allora non era affatto rientrato nei suoi piani, ma sicuramenti in quelli di Dio.
Per tanti anni suor Valentina si è chiesta cosa ne fosse stato della sua prima vocazione, aiutare le donne nel momento del parto. Qualcosa le diceva che non le restava altro che aspettare ed affidarsi, che prima o poi sarebbe riuscita a “riutilizzare” quel dono che aveva ricevuto. Nove anni dopo aver accolto il Signore nella sua vita, e sicura che Egli non avesse in serbo per lei nuovi stravolgimenti, dovette ricredersi. Ad attenderla c’era una nuova missione che la portò in una delle terre più martoriate da conflitti, ma anche culla delle tre religioni monoteiste: la Terra Santa.
La congregazione di cui suor Valentina fa parte, quella delle suore di San Giuseppe dell’Apparizione, è presente in Terra Santa dal 1856, fornendo ai residenti supporto educativo e medico. In particolare, l’ospedale Saint Joseph, nella parte est della città di Gerusalemme, era stato fondato nel 1956 nell’allora territorio giordano, per consentire l’accesso ai sistemi sanitari alle popolazioni arabe della West Bank (Cisgiordania) e di Gaza.
Dopo la guerra dei sei giorni del 1967, Gerusalemme est e il Saint Joseph passano sotto il controllo israeliano, rispondendo quindi al ministero della sanità dello stato ebraico. L’ospedale rimane, però, parte di una realtà araba, con personale e pazienti palestinesi.
È con l’apertura del nuovo reparto di maternità a metà anni 2010 che la storia del Saint Joseph si lega a quella di suor Valentina. Le sue due vocazioni, quella di dedizione al Signore e quella di amore per il miracolo della vita, la rendono la persona adatta per dirigere il reparto. Da subito viene colta da stupore, paura ed incertezza, soprattutto per i tanti anni di lontananza da un ospedale e dalla professione ostetrica, ma suor Valentina non si lascia scoraggiare e decide nuovamente di affidarsi alle mani del Signore per lasciarsi plasmare. Ecco che da allora porta avanti la sua missione che quotidianamente la vede coinvolta in tante sfide. Questo ospedale, infatti, ha saputo distinguersi da pochi anni, precisamente dal 2017, per nuovi approcci al parto rispetto alla tradizione araba che hanno catturato l’attenzione di alcune famiglie ebree particolarmente incuriosite dalla proposta del parto in acqua. Questo ha fatto sì che la maternità del St. Joseph diventasse terreno d’incontro tra arabi, musulmani e cristiani, ed ebrei, due popoli profondamente divisi da barriere politiche, economiche e religiose, che inaspettatamente si trovano a condividere un momento così travolgente e delicato della vita.
La nuova dimensione di condivisione porta personale e pazienti a conoscersi in un contesto totalmente differente da quello che in cui normalmente le loro strade si incrocerebbero. In Israele e in Palestina, le poche interazioni tra i due popoli hanno generalmente luogo in situazioni di tensione, come i checkpoint per i palestinesi o il servizio militare per gli israeliani. In sala parto, invece, un’attiva collaborazione è necessaria e il dialogo indispensabile. Non mancano certo momenti di attrito, che solitamente scaturiscono da una diversa visione del parto. Le due popolazioni, infatti, adottano approcci medici differenti, ai quali si aggiungono le difficoltà legate alle barriere linguistiche, che spesso nascondono ferite ben più profonde: il peso delle memorie traumatiche di una vita passata in contrapposizione. Suor Valentina agisce come naturale mediatrice, ascoltando gli uni e gli altri e mitigando reazioni e incomprensioni.
La situazione di conflitto tra Israele e Palestina è lontana dall’essere risolta e quasi mezzo milione di israeliani vive nei territori palestinesi occupati della Cisgiordania. Nonostante ciò, suor Valentina non perde la speranza e ogni giorno dà il suo contributo ricordando la parabola del granello di senape e consapevole che molto spesso sono proprio i piccoli a gesti quotidiani a creare i più solidi ponti.
Il miracolo del Saint Joseph è che gli stereotipi più radicati cadono nel momento più straordinariamente potente e fragile della vita di una donna. I muri, reali o immaginari, crollano, ci si trova a gioire insieme per una nuova fragile vita. E chissà che da queste nuove vite non nascano operatori di pace che porteranno i nostri figli e nipoti a sentire parlare di Terra Santa come luogo di serenità e prosperità per le popolazioni che lo abitano.
Questa testimonianza ci invita a non cadere nel baratro dell’indifferenza. Anche noi, riconoscendoci come esseri fragili in un contesto di fragilità, abbiamo nelle nostre mani il dovere e il potere di metterci a servizio del prossimo: siamo chiamati a seguire il progetto che Dio ha pensato per noi, affinché possiamo essere protagonisti di piccole grandi rivoluzioni, gocce di speranza in oceani in tempesta.
Video integrale della testimonianza di suor Valentina: