Turchia

L’omicidio dell’ambasciatore russo Karlov e i rapporti tra Russia e Turchia

L’assassinio in diretta televisiva dell’ambasciatore russo ad Ankara Andrey Karlov rafforza l’inedita alleanza tra Russia e Turchia, che hanno tutto da perdere in caso di deterioramento dell’intesa costruita per raggiungere i rispettivi obiettivi militari in Siria, ormai a portata di mano. I due Paesi hanno immediatamente agito per contenere ogni danno politico-diplomatico, individuando dietro l’attentato una non meglio identificata cospirazione e confermando tutti gli incontri fissati per i negoziati sul conflitto siriano. La morte di Karlov diventa uno strumento diplomatico da utilizzare senza troppi scrupoli.

“Si è trattato di un attentato pianificato, volto a minare i rapporti tra Mosca e Ankara. Ma il gioco non riuscirà”, ha dichiarato il ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov. “Una provocazione”, per far deragliare le relazioni russo-turche e “il processo di pace in Siria”, aveva già detto Vladimir Putin subito dopo il gesto omicida. E al Cremlino, la parola “provocazione” è da sempre un sinonimo di “cospirazione”. In sostanza si avvalla l’ipotesi di qualche forza oscura di cui il giovane poliziotto Mevlut Mert Artinas, la sua Sar calibro nove d’ordinanza, e i nove colpi sparati nella schiena del diplomatico sarebbero solo il crudele veicolo.

“Sappiamo a cosa è collegato questo atto terroristico: alla nostra attività contro il terrorismo internazionale”, ha spiegato il ministro della Difesa Sergei Shoigu a margine del doppio vertice tenutosi come previsto a Mosca tra i capi delle diplomazie e i responsabili degli apparati militari e di sicurezza di Russia, Turchia e Iran. L’incontro è servito a preparare la conferenza a tre sulla Siria che si riunirà nella capitale russa il 27 dicembre.

Il momento dell'omicidio dell'ambasciatore Karlov

Il momento dell’omicidio dell’ambasciatore Karlov

“Potrà sembrare un ragionamento cinico, ma dalle reazioni delle due diplomazie, dalle dichiarazioni dei due governi, e dall’atteggiamento politico-militare che vedo, l’assassinio dell’ambasciatore Karlov non può che far del bene al legame tra Russia e Turchia”, dice all’Espresso Alexey Malachenko, responsabile della divisione sicurezza e rapporti con l’Islam del think tank Carnegie di Mosca. “Si infittirà lo scambio di informazioni, grazie anche all’inchiesta su quanto avvenuto ad Ankara. La cooperazione e la solidarietà tra Mosca e Ankara per combattere il terrorismo adesso sarà maggiore, come ha subito detto anche Erdogan. E si aumenterà l’impegno nelle trattative in corso sulla Siria”.

L’accordo di massima già raggiunto permette a entrambi i Paesi di ottenere i loro scopi sul teatro di guerra. In particolare, la Turchia ha assicurato che le sue incursioni nel nord della Siria non interferissero con l’assedio di Aleppo da parte dei russi e delle milizie pro-Assad. E Mosca sembra aver dato il definitivo via libera alla conquista da parte delle forze turche della città di al-Bab, nella Siria settentrionale: un obiettivo strategico di prima grandezza, per Ankara che può così impedire il consolidamento dell’entità statale autonoma curda di Rojava al confine con la Turchia.

Il compromesso, di cui restano da definire i particolari, supera le due maggiori divergenze tra Ankara e la Russia sul conflitto siriano: l’appoggio di Mosca al dittatore di Damasco Bashar al-Assad, inviso alla Turchia, viene premiato ad Aleppo; la contrarietà turca al separatismo curdo sostenuto da Mosca viene accontentata limitando ad al-Bab le ambizioni espansionistiche di quest’ultimo.

Il momento è ideale per finalizzare la trattativa e mettere gli Stati Uniti di fronte a fatti compiuti. La transizione tra amministrazione Obama e amministrazione Trump di fatto rende Washington incapace di proporre e di imporre una sua politica. Inoltre, il presidente-eletto in campagna elettorale ne ha dette di tutte contro l’accordo sul nucleare iraniano siglato dal segretario di Stato John Kerry, e Teheran ha ora qualche motivo in più per non dolersi di una sua contrapposizione agli interessi americani.

L’uccisione dell’ambasciatore Karlov viene intanto utilizzata da Mosca per legittimare il suo ruolo nella lotta internazionale al terrorismo, invocare una escalation e cercar di convincere Donald Trump ad appoggiare la sua strategia siriana, ovvero ad accettare una presenza militare e politica russa stabile in Siria, e più in generale sullo scacchiere mediorientale. “Quanto dichiarato dal presidente-eletto statunitense riguardo alla necessità che la comunità internazionale ripensi il suo atteggiamento rispetto al terrorismo è in sintonia con quanto il presidente della Federazione Russa invoca da almeno 15 anni: una maggiore cooperazione tra gli Stati nella lotta contro la più pericolosa sfida del nostro secolo”, ha detto il portavoce di Vladimir Putin, Dmitri Peskov. “Nenche la più potente forza economica e militare è in grado di combattere il terrorismo da sola: può essere fatto solo lavorando insieme”, ha aggiunto Peskov.

“Non hanno sparato ad Andrey Karlov, hanno sparato alla Russia”, spiega sul quotidiano filo-governativo Izvestia il senatore Konstantin Kosachev, che ritiene quello di Ankara un attentato terroristico pianificato e ben organizzato. “Il killer ha avuto paura di guardar negli occhi la sua vittima”, titola a tutta pagina il giornale sottolineando come l’ambasciatore sia stato colpito alle spalle. La popolare Komsomolskaya Pravda, anch’essa filo-governativa, ha intervistato più esperti che concordano sulla necessità di non incolpare in alcun modo la Turchia per l’assassinio di Karlov. “Se lasciamo che i rapporti con Ankara si deteriorino, facciamo il gioco dei terroristi che hanno organizzato l’attentato, scrive il giornale più venduto in Russia.

Il diritto internazionale prevede l’obbligo degli Stati di proteggere le missioni diplomatiche: la responsabilità della morte di Andrey Karlov è del governo turco, da questo punto di vista. “E’ probabile che Mosca possa utilizzare questa leva per convincere la Turchia a cedere sulle questioni ancora non coincidenti durante i negoziati sulla Siria”, secondo Alexey Malachenko

Cercare un parallelo tra l’assassinio di Ankara a quello dell’Arciduca Francesco Ferdinando nel 1914 a Sarajevo, come qualcuno ha fatto, appare quantomeno avventato: Russia e Turchia hanno già rinunciato alle accuse reciproche e trovato un terreno comune nell’accusare di quanto avvenuto gli avversari delle loro strategie mediorientali come nell’invocare una escalation nella lotta internazionale contro il terrorismo e legittimare così la loro politica sulla Siria.

Nessuna conflagrazione in vista tra Mosca e Ankara, quindi. Se volessero il conflitto, di motivi ne avrebbero potuti trovare in ogni momento, nel caos siriano. Non c’era davvero bisogno del casus belli di un omicidio altolocato. Il fatto è che in questo momento l’ultima cosa che desiderano Russia e Turchia è litigare tra di loro. E che l’opportunismo della loro politica estera non esita a strumentalizzare un assassinio per il raggiungimento di obiettivi immediati. Con buona pace del povero ambasciatore Karlov.

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