Turchia

La situazione dei migranti a due anni dall’accordo Ue-Turchia

Il 18 marzo 2016 i 28 leader europei hanno trovato un accordo con la Turchia sul piano per la gestione dell’arrivo dei migranti sulle coste greche. Dopo l’approvazione dell’allora premier turco Ahmet Davutoğlu, l’accordo ha ricevuto il via libera finale. Cosa prevede tale accordo?

1. Respingimento dei migranti in Turchia.

I migranti e i profughi sulla rotta balcanica, siriani compresi, vengono rimandati in Turchia se non presentano domanda d’asilo presso le autorità greche. Per rispettare le leggi internazionali, i migranti vengono “registrati senza indugi e le richieste d’asilo sono esaminate individualmente dalle autorità greche”. Chi non vuole essere registrato e chi vede respinta la sua domanda torna in Turchia. Secondo il piano, era una “misura temporanea e straordinaria, necessaria per porre fine alle sofferenze umane e ripristinare l’ordine pubblico”. È stata stabilita una data di ingresso dei profughi in Grecia, il 20 marzo 2016, che è servita per decidere chi avrebbe avuto il diritto di restare e chi invece sarebbe stato riportato in Turchia. L’Agenzia dell’Onu per i rifugiati (Unhcr) assiste i respingimenti, in base a una clausola del trattato. Tutti i costi sono coperti dall’Unione europea. L’Unione inoltre “accetta l’impegno di Ankara che i migranti tornati in Turchia verranno protetti in base agli standard internazionali”.

2. Canali umanitari.

Per ogni profugo siriano che viene rimandato in Turchia dalle isole greche un altro siriano viene trasferito dalla Turchia all’Unione europea attraverso dei canali umanitari. Donne e bambini hanno la precedenza in base ai “criteri di vulnerabilità stabiliti dall’Onu”. La priorità è assicurata anche a coloro che non sono già stati deportati dalla Grecia. L’Europa mette a disposizione 18mila posti già concordati per accogliere i profughi dei canali umanitari. Rimane in piedi inoltre il piano di ricollocamento dei richiedenti asilo dall’Italia e dalla Grecia, che finora non è mai decollato.

3. Liberalizzazione dei visti per i cittadini turchi.

La Turchia chiede anche la liberalizzazione dei visti per i cittadini turchi a partire dal 1 giugno 2016. Entro ottobre 2016 sarebbe potuto non essere più necessario per i turchi chiedere un visto per entrare nell’Unione europea. A patto che fossero state rispettate tutte le condizioni richieste dall’Unione europea. Nella pratica è stato quasi impossibile per Ankara soddisfare le 72 richieste avanzate da Bruxelles in tempi brevi.

4. Aiuti economici alla Turchia.

L’Unione europea ha deciso di accelerare il versamento di tre miliardi di euro di aiuti alla Turchia, già approvati nel vertice di novembre 2015, per la gestione dei campi profughi. Inoltre l’Unione si impegna a mobilitare “fino a un massimo di altri tre miliardi entro fine 2018”, ma solo dopo che i primi tre miliardi fossero stati spesi.

5. L’adesione della Turchia all’Unione europea.

L’Unione europea “si prepara a decidere l’apertura di nuovi capitoli” sull’adesione della Turchia all’Unione europea ferma da tempo, “non appena possibile”.

A un anno dall’accordo tra Unione europea e Turchia sui migranti, Bruxelles stava facendo di tutto per non rimetterlo in discussione, nonostante avesse provocato una situazione umanitaria disastrosa in Grecia e nei Balcani. La Turchia, invece, minacciò di rivedere i termini dell’accordo. Il 13 marzo 2017 – nel pieno di una crisi diplomatica con diversi paesi dell’Unione europea, tra cui i Paesi Bassi e la Germania – il ministro per gli affari europei di Ankara, Ömer Çelik, ha affermato che la Turchia avrebbe dovuto rimettere in discussione la clausola “sul transito via terra” dei migranti.

Tuttavia, con un referendum costituzionale alle porte (16 aprile 2017), la minaccia terroristica e l’instabilità interna, sembrava improbabile che Ankara passasse dalle minacce ai fatti riaprendo la frontiera con la Siria o spingendo i 2,9 milioni di profughi siriani che vivono sul suo territorio a mettersi in viaggio verso l’Europa.

Da quando l’Unione europea ha concesso alla Turchia i tre miliardi di euro per fermare l’arrivo dei migranti sulle coste greche, il numero delle persone che hanno affrontato la traversata dell’Egeo si è ridotto a 1.500 nel gennaio del 2017 (nello stesso periodo del 2016 erano state 70mila). I motivi, come spiega Patrick Kingsley sul New York Times, sono diversi.

In primo luogo la Turchia ha chiuso le frontiere ai profughi siriani: se nel 2015 ai cittadini siriani non serviva il visto per entrare nel paese, ora non è più così. Inoltre il confine tra Siria e Turchia è più controllato che in passato per il timore che gruppi terroristici attivi nella guerra siriana possano organizzare attentati oltre il confine. Ankara, infatti, dall’agosto del 2016 è in guerra contro il gruppo Stato Islamico in Siria e contro le milizie curdosiriane (Unità di protezione popolare, Ypg), considerate un gruppo terroristico dai turchi.

D’altronde, anche se i profughi avessero dovuto rimettersi in viaggio dalla Turchia verso l’Europa, beneficiando di una maggiore tolleranza del governo turco, avrebbero trovato una situazione completamente diversa rispetto ad un anno prima. L’accordo prevedeva infatti che i profughi arrivati in Grecia dalla Turchia dopo il 20 marzo del 2016 fossero rinchiusi negli hotspot sulle isole di Samo, Lesbo e Chio in attesa di essere identificati ed eventualmente rimandati in Turchia. Nell’aprile del 2016 la Grecia ha riformato la legge sull’asilo per permettere la detenzione amministrativa dei migranti irregolari in attesa che la loro domanda d’asilo sia valutata dai funzionari dell’agenzia europea per l’asilo (Easo).

I funzionari europei devono stabilire caso per caso se il richiedente asilo può essere rimandato in Turchia senza correre rischi per la sua incolumità. Amnesty International in un rapporto ha denunciato che alcuni profughi siriani sarebbero stati respinti alla frontiera nell’ottobre del 2016 senza che gli sia stata data la possibilità di chiedere asilo in Grecia, infrangendo il diritto internazionale sui respingimenti.

Alcune deportazioni dalla Grecia alla Turchia sono state bloccate dai ricorsi alla corte d’appello, che ha bocciato le decisioni dei funzionari dell’Easo valutando che la Turchia non fosse un paese sicuro per rimandare indietro i profughi. Molti migranti, dopo mesi di attesa hanno fatto domanda per essere rimpatriati volontariamente nei loro paesi d’origine.

Secondo le autorità greche, nel marzo del 2017 in Grecia 14.371 persone erano trattenute negli hotspot sulle isole in condizioni disumane, ben oltre la capienza complessiva dei campi che sarebbe di 7.450 posti. Sulla terraferma circa 50mila persone (soprattutto siriani, afgani e iracheni) vivevano da mesi nei campi profughi in attesa che la richiesta d’asilo, di ricollocamento o di ricongiungimento familiare fosse esaminata dalle autorità. “In questo contesto dobbiamo considerare che la Commissione europea ha chiesto ai paesi membri di riprendere i trasferimenti verso la Grecia dei profughi che sono riusciti ad arrivare in altri paesi d’Europa in base al regolamento di Dublino. I trasferimenti erano stati sospesi nel 2011 perché il sistema di accoglienza greco era stato giudicato carente dalla stessa Commissione, ma riprenderanno a metà marzo [2017, ndr], in una situazione sul campo in Grecia che è folle”, spiega la giornalista e scrittrice Daniela Padoan dell’associazione Diritti e frontiere.
Dalla Grecia sono stati spostati in altri paesi europei fino al 2017 solo 9.610 profughi dei 160mila previsti dal programma di ricollocamento dell’Agenda europea sull’immigrazione del maggio del 2015. Per questo molti profughi continuano a mettersi in viaggio lungo la rotta balcanica affidandosi a passeurs e trafficanti. Ma sulla loro strada trovano recinzioni, filo spinato e guardie di frontiera a bloccarli con arresti, minacce e violenze. Nell’ultimo anno 25mila persone hanno percorso questa rotta, affrontando pericoli, difficoltà e umiliazioni. E rischiando la vita. Nel primo anno, almeno 140 persone sono morte sulla rotta balcanica o nella traversata dell’Egeo.

Due anni fa, subito dopo l’accordo, l’organizzazione umanitaria Medici senza frontiere (Msf) dichiarò che non avrebbe più accettato finanziamenti dall’Unione europea, perché voleva denunciare la disumanità e il cinismo delle politiche europee sull’immigrazione. A un anno di distanza, Msf rinnovò la sua denuncia in un rapporto in cui sottolinea le conseguenze delle politiche europee sulla vita e sulla salute di migliaia di persone, in particolare in Grecia e in Serbia.

Oggi, a due anni dalla firma dell’accordo l’Unione europea rivendica: “L’accordo con la Turchia è efficacie”, e ancora “Un vero successo, il nostro intervento ha cambiato la vita di oltre 1 milione di rifugiati, l’Ue è riuscita e sta riuscendo ad accogliere i rifugiati, a rispondere ai loro bisogni quotidiani di base, a provvedere alle cure mediche e a permettere che i bambini continuino ad andare a scuola, così da evitare il pericolo che la piccola generazione di immigrati sia perduta” (Christos Stylianides, commissario per gli Aiuti umanitari, 9 marzo 2018).
Queste parole arrivano mentre 13mila richiedenti asilo ancora intrappolati nelle isole e nel frattempo la Spagna propone a Frontex un accordo Ue-Marocco che sembra la brutta copia di quello turco.

Fonte: Internazionale

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