Libia

Il rapporto tra Italia e Libia

Il rapporto tra il nostro Paese e la Libia è di lunga data. Non solo una storia recente di incontri diplomatici, né soltanto il rapporto di amicizia tra i governi italiani dei primi anni Duemila e il regime di Gheddafi: la storia dello stato nordafricano è stata legata a quella dell’Italia per tutta la prima metà del Novecento. E il rapporto non è stato sempre all’insegna del dialogo.
Poco più di un secolo fa, nel 1911, scoppiava infatti la Guerra di italo-turca, detta anche Campagna di Libia. In quella occasione – consuetudine per le potenze europee del Novecento – l’Italia cercò di creare un proprio avamposto sull’altra sponda del Mediterraneo.
Dal 1869, con l’apertura del Canale di Suez, il Mediterraneo aveva poco a poco riacquistato importanza strategia per quanto riguardava le rotte commerciali. Importanza strategica perduta nel corso del XV secolo, quando le rotte si erano concentrate verso l’America. L’Italia aveva quindi la possibilità di riconquistare un peso, a livello politico ed economico, grazie alla sua capacità di impedire il traffico marittimo tra il canale di Suez e il Mediterraneo occidentale. Tuttavia per poter avere un concreto ruolo nella gestione del traffico del Mediterraneo era necessario che il nostro paese esercitasse un controllo anche in Africa nord-occidentale. È importante ricordare che quasi tutta l’Africa settentrionale era in quel periodo in mano alle potenze europee: l’Egitto era in mano alla Gran Bretagna, la Tunisia era sotto il controllo Francese, la Libia apparteneva all’impero Ottomano. L’unica potenza con cui l’Italia non aveva rapporti diplomatici stretti o alleanze all’epoca era l’impero ottomano, dunque le sue mire espansionistiche si indirizzarono proprio verso la Libia. Lungamente ci si confrontò sulla questione Libica fino a quando la crisi di Agadir, che coinvolse la Francia e il Marocco il 1º luglio 1911, spinse Giolitti ad affrettare i tempi. L’allora ministro degli esteri Antonio Paternò di San Giuliano sostenne fortemente la missione in Libia, tanto che – il 19 settembre 1911– invece dei ventimila soldati previsti ne furono mobilitati ben quarantamila. Il desiderio del Primo ministro Giolitti era di risolvere il conflitto in pochi mesi, per questo l’annessione della Libia fu proclamata già il 5 novembre del 1911, quando di fatto l’azione militare era tutto fuorché conclusa. L’idea alla base della prematura proclamazione era quella di mettere gli altri Stati europee difronte al fatto compiuto. Francia, Gran Bretagna e Impero Russo si dimostrarono per lo più favorevoli all’invasione italiana della Libia, ma la Turchia, legata a doppio filo con la Germania, e l’Austria-Ungheria si dichiararono contrarie e non riconobbero come legittima la proclamazione dell’annessione. La risoluzione del conflitto generatosi dall’opposizione al dominio italiano in Libia ebbe inizio nel luglio 1912 a Losanna, dove una delegazione italiana avviò i colloqui con la rappresentanza turca.  Il 15 ottobre vennero firmati i preliminari di pace. Serbia, Regno del Montenegro, Regno di Grecia e Regno di Bulgaria, alleati tra loro, attaccarono i possedimenti ottomani in Europa. La Sublime Porta accettò le condizioni italiane e il 18 ottobre 1912 le delegazioni sottoscrissero il trattato di pace; nei due giorni seguenti entrambi i governi emanarono i decreti attuativi della convenzione. L’Italia annetteva così Annessione la Tripolitania, la Cirenaica, il Fezzan e del Dodecaneso.
Con la Seconda Guerra Mondiale si ebbe poi la corsa alle colonie. Oltre ai fronti aperti in tutta Europa, alle battaglie condotte sui confini dei paesi del Vecchio Continente, le potenze Europee si confrontarono anche sul terreno delle colonie: annettere stati – in Africa, nei Balcani, nel vicino Oriente – era una sfida muscolare, collaterale rispetto a quella condotta lungo le linee. L’Italia condusse aspre battaglie per la conquista dell’Etiopia e della Somalia, pagando un prezzo sanguinoso e conducendo una guerra folle ed insensata. Nel 1940, quando il regime fascista decise l’entrata in guerra del paese, l’Impero coloniale italiano comprendeva la Libia, l’Africa Orientale Italiana (Eritrea, Etiopia e Somalia italiana), più il Dodecaneso greco e la Concessione di Tientsin, l’unica dipendenza coloniale italiana in Asia. Di fatto, l’unica vera “colonia” italiana durante il regime fascista fu proprio la Libia, ereditata dalla campagna di inizio secolo.
La decolonizzazione della Libia avvenne nel 1947. Con la fine della Seconda Guerra Mondiale l’Italia, in base ai trattati di Pace del ’47, dovette rinunciare a tutte le sue colonie. Il rapporto tra Italia e Libia, la sua conquista e le varie azioni di repressione durante il periodo di controllo italiano, iniziato nel 1911 si concluse con circa 100 000 vittime tra i cittadini libici, su una popolazione stimata di 800 000 abitanti. La Libia si dichiarò indipendente nel dicembre 1951, quando Idris al Senussi, capo dei Musulmani Senussi, venne proclamato re dello Stato Federale Libico. Nel 1963 venne modificata la Costituzione e il governo federale fu abolito, sostituito con dieci nuovi governatorati retti da un amministratore di nomina regia.
Se il principio di causa-effetto ha un significato, anche in ambito storico, ecco che non è possibile non considerare i recenti fatti libici – dal regime alla guerra civile, dalla difficoltà nel raggiungimento di una stabilità fino al ruolo del Paese nella tragedia degli sbarchi – senza pensare alla responsabilità storica che l’Italia ha avuto.
E pensare che La Pira, da Pozzallo, aveva di fronte a sé proprio la Libia: il primo paese davanti alla Sicilia, la prima terra che deve aver intravisto dalla “sua” finestra sul Mediterraneo.

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