L’onda lunga della crisi Afghana
L’Organizzazione delle Nazioni Unite nel 2000 statuì che doveva essere considerato povero chiunque vivesse con un reddito giornaliero inferiore ad un dollaro, soglia poi portata ad un dollaro e venticinque centesimi dalla Banca Mondiale nel 2008.
Sempre secondo l’Onu, nella persona del Sottosegretario Generale Martin Griffiths, ad oggi la quota dei cittadini Afghani sotto tale soglia potrebbe arrivare alla paurosa cifra del 97% e sono già 23 milioni le persone in quella terra che soffrono la fame. La situazione economica è disastrosa: un terzo del PIL Afghano è stato spazzato via dalle conseguenze della guerra e dalla riconquista talebana del Paese, comportando conseguenze gravissime sulle infrastrutture essenziali dello Stato come scuola e ospedali. Inoltre, il Paese affronta da anni una gravissima siccità che quest’anno ha distrutto il 40% dei raccolti. L’HDI (Human Development Index) delle Nazioni Unite sullo sviluppo del Paese, rimane uno dei più bassi del mondo: 169° su 188.
Parte importante del Pil perso era costituita dalla grande quantità di aiuti internazionali che giungevano dagli stati esteri. Fondi che coprivano tre quarti della spesa pubblica, bloccati in seguito al ritorno al potere dei talebani. Il governo americano, sia direttamente che tramite le istituzioni del Fondo Monetario Internazionale e della Banca Mondiale, ha inoltre congelato le riserve di denaro della banca Afghana che si trovavano all’estero, circa 9.5 miliardi di dollari. Funzionari americani hanno infatti affermato che “sbloccare le riserve di denaro non garantisce che i taliban le utilizzeranno per risolvere i problemi dell’Afghanistan”, confermando che l’idea americana sembra essere quella che il nuovo governo Afghano non goda di credibilità sufficiente per ricevere tale cifra senza rischio che almeno una parte venga dirottata su attività pericolose.
Le immagini dei ponti aerei organizzati dalle nazioni occidentali per mettere in salvo la popolazione, spesso personale che li aveva aiutati durante la permanenza, per quanto efficaci, non sono state seguite da politiche effettive di migliorata accoglienza: più dell’ottanta per cento dei profughi afghani sono adesso fermi in Pakistan e Iran al confine con i quali la Turchia, per evitare che questi entrino nel suo territorio, ha costruito 280 km di muro alto tre metri.
I Paesi europei hanno mostrato la stessa esitazione che fu di scena durante la crisi siriana del 2015 e si richiamano a numeri che sembrano avere poco a che fare con la realtà della crisi. Il ponte aereo organizzato dagli Stati membri ha portato in Europa circa ventimila persone ma l’Unhcr ha chiesto di intervenire fornendo asilo a circa ulteriori quarantamila persone, ricevendo però una risposta negativa dalla Commissione Europea, non avendo questa riscontrato disponibilità degli stati membri.
L’Italia si è impegnata autonomamente ad accogliere circa mille persone entro due anni, mediante l’intervento di Caritas, CEI, Comunità di Sant’Egidio e altre associazioni.
Inoltre, diversi paesi fra cui Olanda, Grecia, Germania e Austria, hanno chiesto la possibilità di rimpatriare coloro cui fosse rifiutato il permesso di soggiorno. Secondo questi Paesi, senza un’effettiva politica di rimpatri, sempre più persone sarebbero spinte a lasciare il proprio paese. Tutto questo mentre continuano a giungere notizie di respingimenti operati illegalmente, e spesso purtroppo con la forza, in Croazia, Grecia, Romania ma anche al confine Italiano con la Slovenia.
È doveroso spendere una parola anche per chi non riesce ad abbandonare il Paese. Come detto, è costoso ottenere documenti validi e senza i quali è impossibile espatriare. Ottenere i documenti in un Paese in guerra è molto difficile, motivo per cui molte persone sono costrette ad affidarsi a trafficanti per poter fuggire dal paese. I costi per potersi garantire la fuga sono spesso molto ingenti e solo poche persone riescono a permetterselo.
Ad oggi sono ancora in corso ad Oslo i negoziati fra gli Stati Europei e i taliban: in cambio dello sblocco delle riserve auree, questi ultimi si impegnano a garantire il rispetto dei diritti fondamentali della persona. Tra i quali permettere a bambine e ragazze di tornare a scuola nel prossimo futuro. L’attuale situazione delle donne nel Paese è poco chiara, ma certamente critica. Certo, il punto di partenza non era particolarmente roseo: nonostante dopo la caduta del primo regime talebano il Paese avesse aderito alla Convenzione sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne (CEDAW), nel 2003 era comunque al 171° posto su 187 in termini di parità di genere, per quanto nelle città con più presenza occidentale il livello fosse spesso migliore.
Al momento sono molteplici le situazioni che vedono divieti e proibizioni per le donne. Ad esempio, secondo il ministero afghano per la Promozione della Virtù e la Prevenzione del Vizio, le donne che compiono viaggi sopra i 72 km devono essere in compagnia di un parente uomo e sono vietate pubblicità in cui appaiano le donne. Inoltre, non è prevista per le donne la possibilità di studiare sopra i 12 anni, benché fossero stati promessi corsi universitari separati che non sono mai ripartiti, anche perché necessiterebbero di insegnanti donne, e l’esercizio di questa professione è malvisto e fortemente penalizzato. Le parole del 14 dicembre 2021 di Nada al-Nashif, vice alto commissario per i diritti umani delle Nazioni Unite, possono dare un’idea di quanto lacunose siano le informazioni che ci giungono dalle città dell’Afghanistan:
“While the Taliban takeover has brought an uneasy end to fighting against Governmental forces in the country, the current situation leaves the population with little protection in terms of human rights. Women and girls in particular face great uncertainty with respect to the rights to education, to livelihoods and to participation, in which they had made important gains in the past two decades. The decree on women’s rights issued by the de facto authorities on 3 December represents an important signal but leaves many questions unanswered. For instance, it does not make clear a minimum age for marriage, nor refer to any wider women and girls’ rights to education, to work, to freedom of movement, or to participate in public life”.
Note a piè di pagina
- Approfondimento Internazionale.it –> Afghanistan e congelamento fondi
- Sebbene l’acquisizione del potere dei talebani abbia posto fine alla lotta contro le forze governative nel paese, l’attuale situazione lascia alla popolazione scarsa protezione in termini di diritti umani. Donne e ragazze in particolare affrontano una grande incertezza riguardo ai diritti all’istruzione, ai mezzi di sussistenza e alla partecipazione, in cui avevano ottenuto importanti guadagni negli ultimi due decenni. Il decreto sui diritti delle donne emanato dalle autorità di fatto il 3 dicembre rappresenta un segnale importante ma lascia senza risposta molti interrogativi. Ad esempio, non chiarisce un’età minima per il matrimonio, né fa riferimento a diritti più ampi delle donne e delle ragazze all’istruzione, al lavoro, alla libertà di movimento o alla partecipazione alla vita pubblica.
ARTICOLI PER APPROFONDIRE
https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/ispitel-afghanistan-la-crisi-gia-dimenticata-32397
https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/afghanistan-ritorno-allancien-regime-32793
https://www.internazionale.it/notizie/annalisa-camilli/2021/10/28/accoglienza-afgani-europa
https://www.openpolis.it/laccoglienza-dei-profughi-afghani-in-europa/
http://www.hdr.undp.org/en/countries/profiles/AFG
http://www.genderconcerns.org/country-in-focus/afghanistan/the-situation-of-women-in-afghanistan
https://www.ilsole24ore.com/art/afghanistan-tutti-diritti-negati-donne-AEDgIhh