A qualche mese da quello che il presidente Erdoğan sicuramente ritiene un upgrade, ovvero il passaggio della Turchia da repubblica parlamentare a repubblica presidenziale, si può già intuire quale sia la strada che il paese sta intraprendendo. È chiaro che ora Erdoğan ha nelle sue mani un potere di più ampia portata rispetto al passato e non ha certo perso occasione per sfruttarlo. Prendiamo in esame soltanto alcuni aspetti significativi di quello che è successo in questi mesi.
Dopo il tentato colpo di stato del luglio 2016, molti sono stati i provvedimenti presi dal governo nei confronti dei golpisti. Tuttavia Erdoğan non era ancora soddisfatto: dallo scorso aprile, col successo del referendum, il presidente ha potuto prolungare lo stato di emergenza nel paese fino ad oggi, e chissà per quanto tempo ancora durerà. Durante lo stato di emergenza, il presidente della repubblica può esercitare delle funzioni particolari. In breve: migliaia di militari, giornalisti, insegnanti, attivisti, oppositori e cittadini turchi sono finiti in prigione o sono sotto processo sotto ordine di Erdoğan. La libertà di espressione, di parola e di pensiero sembra essere sempre più in pericolo in questa nuova Turchia.
Un altro segno di quanto pericoloso sia diventato il potere nelle mani di Erdoğan giunge direttamente da Ankara. Il sindaco della capitale turca, Melih Gökçek, esponente di spicco dell’Akp (il partito di Erdoğan) si è recentemente dimesso dal suo incarico, come chiesto proprio da Erdoğan. Lo ha annunciato sul suo profilo Twitter lo stesso Gökçek, che guida la capitale turca dal 1994. La decisione è giunta al termine di un nuovo faccia a faccia con il presidente, dopo settimane di resistenze alle sue richieste di lasciare la poltrona.
Non c’è da stupirsi che questo crescente accentramento dei poteri abbia fatto preoccupare non poco l’Unione Europea, che sempre di più sta prendendo le distanze da Erdoğan e dalla Turchia. Si sente invocare ormai sempre più spesso a Strasburgo la volontà di interrompere definitivamente il percorso di inclusione della Turchia nell’Europa, e gli attacchi più duri arrivano dalla Germania. Ciò che invece va rafforzandosi è il rapporto politico con stati storicamente avversi alla Turchia, che però conoscono bene il modello di potere accentrato sempre più presente nello stato turco, primo di tutti la Russia di Putin. Che questo referendum abbia sensibilmente spostato ad Est l’asse politico della Turchia? Apparentemente sembra proprio di sì. Negli ultimi giorni un altro referendum ha attirato l’attenzione di Erdoğan: quello promosso nel nord dell’Iraq dagli indipendentisti curdi. La Turchia non perde tempo e a pochi giorni dal referendum il presidente della Repubblica ha incontrato la sua controparte iraniana Hassan Rouhani. I due Paesi, entrambi legati da un patto con Mosca che sembra sempre più solido, hanno avuto da confrontarsi sui provvedimenti da prendere, ma nei nomi evocati durante il colloquio ci sono anche quelli di Israele e degli Stati Uniti, che tanto secondo Rouhani, quanto secondo Erdogan giocano un ruolo non secondario nelle ambizioni indipendentiste dei curdi. Si tratta di un particolare non di poco conto. Sembra che il referendum sul Kurdistan indipendente sia destinato a rafforzare quello che appare sempre di più il nuovo assetto sul futuro Medioriente. Da una parte Turchia e Iran, con Mosca alle spalle, e dall’altra il blocco saudita in asse con Il Cairo. Se si conta che proprio nei mesi scorsi il Qatar si è staccato dal grande troncone dei Paesi del Golfo e che in questo momento è in corso una grande crisi con l’Arabia Saudita, allora il fronte turco iraniano potrebbe arricchirsi di un alleato strategico. Le relazioni fra Ankara e Doha sono ottime, dopo che Erdoğan si è posto come difensore degli interessi dell’emirato, con tanto di truppe stanziate sul suo territorio e ponti aerei per non fare mancare alla popolazione i generi di prima necessità. Una Turchia che si fa sempre meno problemi ad accettare alleanze trasversali, come quelle con l’Iran, in mano agli sciiti. Tutto è utile per conquistare un posto al sole, anche se si deve stare al fianco di qualche alleato per convenienza. Sembra che la priorità, al momento, sia prevalere su quello che c’è dall’altra parte.
Un ultimo tragico appunto sull’evoluzione della repubblica turca deve assolutamente riguardare l’istruzione. Quella Turchia laica pensata da Atatürk (fondatore e primo presidente della Turchia) pare sempre più lontana, tanto che addirittura nelle scuole l’impronta “religiosa” sta minando l’insegnamento della scienza. Nei licei turchi infatti non si insegnerà più la teoria dell’evoluzionismo di Darwin: lo prevede la bozza dei nuovi programmi scolastici elaborata dal ministero dell’educazione di Ankara. A partire dal 2019, la sezione “Origine della vita ed evoluzione” verrà rimossa dal curriculum di biologia perché giudicata “controversa”. La decisione ha ottenuto il via libera del presidente Erdoğan. Nel dubbio che il potere così come lo vuole Erdoğan si possa mantenere o meno anche con un popolo istruito, il presidente va sul sicuro e opta per dei cittadini che non risultino troppo difficili da convincere, con Wikipedia che nel frattempo rimane ancora chiusa.