Egitto

Human Right Watch avverte: l’integrità della società civile egiziana è a rischio. Amnesty Interational denuncia gli orrori delle sparizioni forzate.

Dal rapporto annuale di Human Right Watch si evince un quadro drammatico: sparizioni forzate, torture, limitazione della libertà delle associazioni indipendenti.

 

Tra agosto 2015 e agosto 2016 la Commissione egiziana per i diritti e le libertà ha documentato 912 vittime di sparizione forzata da parte della polizia. Di 52 di questi non si ha ancora nessuna notizia. Di Regeni egiziani ce ne sono difatti centinaia.

In media spariscono tre persone al giorno. Alcune vengono direttamente uccise a seguito di abuso di potere da parte della polizia egiziana. È il caso di Mohamed Adel, autista freddato con un colpo alla testa per aver chiesto all’agente di pagare per il servizio offerto. Oppure come quando al mercato un agente non ha voluto pagare il conto di una tazza di tè: questi ha estratto la pistola e ucciso il venditore, ferendo anche altre due persone. Come queste storie ce ne sono innumerevoli, ma il finale è sempre lo stesso. I corpi abbandonati, quando rinvenuti, mostrano i segni delle torture e delle violenze subite. Le cause ufficiali dei decessi sono false, i processi inesistenti e i colpevoli restano impuniti.

Altre volte per essere sequestrati, è sufficiente essere nella lista dei “possibili” sospettati della polizia. Si, perché di sequestro si tratta. “Siamo un’autorità sovrana, non abbiamo bisogno di mandati per arrestare le persone”. Con questa arroganza i militari della Sicurezza Nazionale egiziana sfondano porte e mettono sottosopra appartamenti per portare via i sospettati. I blitz avvengono in piena notte o la mattina prima dell’alba. Gli uomini della Sicurezza Nazionale si presentano con un convoglio di veicoli blindati e un pulmino bianco anonimo senza targa, utilizzato per trasportare i detenuti che risulteranno poi scomparsi. Le orribili storie raccolte da Amnesty international nel rapporto “Egitto:’ufficialmente tu non esisti’, scomparsi e torturati in nome della lotta al terrorismo”, includono 17 testimonianze dettagliate di alcune delle centinaia di vittime di torture e sparizioni forzate, tra cui numerosi minori. “Pensi di avere un prezzo? Noi possiamo ucciderti, avvolgerti in una coperta e buttarti in un bidone della spazzatura qualsiasi e nessuno verrà mai a chiedere di te”. Così il boia si è rivolto ad un giovane innocente torturato per oltre quattro mesi. Insieme a lui sono stati arrestati anche il padre e il fratello, solo per obbligarlo a confessare crimini mai commessi. Alcuni gruppi per i diritti umani stimano che almeno sessanta mila persone siano state arrestate per motivi politici dal luglio del 2013. Così tanti da portare alla realizzazione di dieci nuovi penitenziari.
Non sempre chi sparisce finisce nei penitenziari. Questi luoghi di detenzione ufficiale sono infatti soggetti al controllo da parte della magistratura. Spesso la destinazione sono gli uffici della Sicurezza Nazionale e i campi di addestramento e alloggio della polizia antisommossa. Qui nessun giudice o pubblico ministero ha la facoltà di ispezionare gli uffici. L’elenco delle torture e dei maltrattamenti a cui vengono sottoposti i detenuti sono raccapriccianti. Pestaggi, sospensioni per gli arti al soffitto, scosse elettriche al viso, al corpo, ai denti, alle labbra, ai genitali. Le torture avvengono durante gli interrogatori, i quali durano anche diverse ore.

Qual è la sorte di chi prova a denunciare questi soprusi?
Nel novembre 2016 il patrimonio del Centro El Nadeem, che si occupa della tutela e riabilitazione delle vittime di tortura, è stato congelato. Al co-fondatore Aida Seif al-Dawla è stato vietato di lasciare il paese. Stessa sorte è toccata a decine di attivisti e ai beni di altre tre associazioni. L’accusa è quella di aver ricevuto finanziamenti dall’estero, reato punibile con la detenzione fino a 25 anni. L’intenzione del governo di controllare e sopprimere la libertà di opinione è dimostrata dall’ultima legge approvata dal Parlamento nel mese di novembre. Con questa norma si ordina la presenza di un rappresentante delle forze di sicurezza nei direttivi delle associazioni indipendenti.

Risulta palese come il dissenso pubblico e l’opposizione pacifica siano di fatto vietati in Egitto.
Se non si interviene subito, si rischia l’estinzione della società civile. L’appello è rivolto alla comunità internazionale, con un invito all’unione delle forze per preservare ciò che resta della società civile egiziana.

Fonti:
L’Espresso
 Amnesty International
 Human Right Watch

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