Iraq

Iraq: ritrovare il paradiso perduto

“Il Signore Dio piantò un giardino in Eden, a oriente, e vi collocò l’uomo […] perché lo coltivasse e lo custodisse” (Gen 2, 8-15).

Il giardino dell’Eden, il paradiso terrestre: scorrendo le pagine del libro della Genesi, non sempre ci si accorge di un preciso riferimento riguardo la collocazione della prima dimora dell’uomo, che corrisponderebbe all’attuale Iraq. L’antica terra della Mesopotamia, culla della civiltà, al giorno d’oggi è lacerata da estrema violenza e odio. L’espansione fulminea e inaspettata (anche se sicuramente non imprevedibile) dell’ISIS nel corso di pochi mesi ha infatti ridotto l’Iraq a uno stato paragonabile ad un inferno creato dagli uomini.  Anche col passare degli anni la pace sembra essere lontana dal paese, dove migliaia di anni fa visse il “padre dei popoli” e grande patriarca delle tre religioni che dal suo nome prendono l’appellativo di “abramitiche”.

All’inizio degli anni 2000 nel paese è scoppiata la seconda guerra del Golfo con l’invasione da parte di una coalizione multinazionale guidata dagli Stati Uniti d’America, culminata nella destituzione del governo sunnita di Saddam Hussein (poi giustiziato) e l’istituzione di un governo sciita. Il cambio al vertice ha provocato molti malumori nella popolazione (a maggioranza sunnita), che non si sentiva più rappresentata, ed ha provocato l’insorgere di spinte sempre più estremiste  in alcune zone del Paese. L’estremizzazione di questa situazione ha favorito la nascita di quello che poi sarebbe stato conosciuto come ISIS, inizialmente solo un ambiguo concorrente di al-Qāʿida.

Dopo la morte di Hussein, dal 2012 al 2017 in Iraq si è combattuta una guerra civile (al pari forse di quella siriana, ma sicuramente messa in ombra da quest’ultima) che ha visto dapprima il dilagare Daesh, che proprio a Mosul aveva trovato la capitale, poi la riconquista irachena.

I cittadini iracheni si trovano in difficoltà tutt’oggi. La guerra ha causato numerosi danni sia all’industria che all’agricoltura rendendo il paese dipendente dalla vendita del petrolio, la sua unica fonte di profitto, grazie al quale lo stato può acquistare beni di prima necessità come medicine e alimenti. Un altro grave problema, che ha causato un alto tasso di disoccupazione in tutta la nazione, è la corruzione e la mancanza di leggi che regolano il mercato ed il lavoro . Per questa ragione ad ottobre dell’anno scorso molti cittadini sono scesi in piazza per protestare contro l’attuale governo che ha reagito reprimendo le proteste in maniera violenta causando numerosi morti e feriti. Non solo: il popolo si ribella ad un governo sciita strettamente legato all’Iran, tanto che le truppe irachene sono spesso addestrate in Iran, basti pensare al fatto che il raid aereo americano che ha ucciso il generale iraniano Soleimani è avvenuto proprio a Baghdad. In assenza di una vera e propria leadership nazionale l’Iraq, sin dall’inizio dell’anno corrente, si trova sempre più coinvolto nello scontro tra l’Iran e gli USA, venendo colpito da numerosi attacchi missilistici che peggiorano la situazione nel paese. La diffusione di Covid-19 su questo sfondo mette il paese sull’orlo del precipizio, aggiungendo alle sue sofferenze la minaccia di un eventuale collasso del sistema sanitario.

È proprio in questo contesto che è necessario raccontare della sofferenza della popolazione cristiana presente nel paese (rappresentata prevalentemente dai cattolici di riti orientali, come quelli della Chiesa cattolica caldea e sira, ma anche da fedeli delle Chiese ortodosse orientali). Dopo l’invasione americana del 2003 e il caos della guerra civile il numero dei cristiani iracheni si è ridotto di più dell’83%. La maggior parte di essi è dovuta fuggire in seguito alle numerosissime minacce degli estremisti islamici, culminanti alla fine nella violenza perpetrata dai terroristi dell’ISIS. Quelli che hanno avuto il coraggio di rimanere non hanno altra scelta che essere sempre pronti al martirio in assenza di protezione adeguata. Stando ai dati dell’associazione “Open Doors”, l’Iraq occupa uno dei primi posti al mondo tra i paesi dove i diritti dei cristiani sono maggiormente lesi.

La terra irachena, impregnata di sangue, rimane una ferita dolorosa sul corpo della famiglia umana. L’immenso caos creatosi anche a causa dell’ipocrisia, della mancante responsabilità, dell’egoismo e dell’assenza di valori che caratterizzano il sistema internazionale, persiste ormai da decenni. Eppure, se si può individuare un segno di speranza in un tale contesto, quello è rappresentato proprio dalla perseguitata e marginalizzata minoranza cristiana. Infatti, è proprio nel contesto della sua sofferenza immensa che si sviluppa quello che viene definito come “ecumenismo dei martiri”, cioè la testimonianza comune di fedeli di varie Chiese che prescinde dalle differenze confessionali pur di preservare la sostanza della fede in condizioni estreme. È proprio dall’unità dei cristiani, in quanto presupposto per la convivenza pacifica tra tutti i figli di Abramo, che può iniziare una vera trasfigurazione del mondo. Finché ognuno di noi non si impegna a realizzare, per quanto è possibile, questi compiti fondamentali, la sofferenza dell’Iraq deve essere davanti agli occhi di tutti come un monito all’azione, alla preghiera e alla solidarietà.

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