Lo scorso 5 dicembre il presidente degli Stati Uniti d’America, Donald Trump, ha annunciato la sua decisione di spostare le ambasciate americane in Israele da Tel Aviv a Gerusalemme.
Con tale atto, gli Stati Uniti riconoscerebbero di fatto la città contesa, mai riconosciuta dalla comunità internazionale, come capitale dello stato di Israele.
Dichiara Trump: “È ora di riconoscere Gerusalemme come capitale dello Stato di Israele, è l’inizio di un nuovo approccio al conflitto israelo-palestinese. Israele è uno stato sovrano che ha il diritto, come ogni altro Paese, di decidere la sua capitale. Essere consapevole di questo è una condizione necessaria per raggiungere la pace”
Inoltre il presidente americano sostiene che la città non è solamente il cuore delle 3 religioni, ma di una delle democrazie più importanti del mondo, e lo definisce un mero riconoscimento della realtà, niente di più.
Immediate sono state le approvazioni dalle alte cariche di Israele, che sostengono come il presidente abbia ridato per loro diritto la città santa agli israeliani e abbia corretto l’errore storico del presidente Truman del 1943, che non l’aveva riconosciuta al popolo ebreo.
Ancora più immediate però sono state le critiche a questa decisione dalle più alte cariche di stato, sia dei paesi vicini sia di quelli relativamente lontani.
Dal canto suo, il presidente palestinese Abu Mazen in un discorso alla Nazione, ha detto che “la decisione odierna di Trump equivale a una rinuncia da parte degli Stati Uniti del ruolo di mediatori di pace. Gerusalemme – ha insistito – è la capitale eterna dello Stato di Palestina” accusando Trump di aver offerto un premio immeritato a Israele “che pure infrange tutti gli accordi”. Poi ha aggiunto che la scelta su Gerusalemme “aiuterà le organizzazioni estremistiche a intraprendere una guerra di religione che danneggerà l’intera regione che attraversa momenti critici, e ci trascinerà dentro guerre senza fine”.
Più dure sono state le parole di Hamas, dichiarando che “Saranno oltrepassate tutte le linee rosse” in una lettera indirizzata ai dirigenti arabi e musulmani e pubblicata dal movimento palestinese. Inoltre ha sentenziato che Trump “ha aperto le porte dell’inferno” sostenendo che tutto ciò sia una flagrante aggressione al popolo palestinese. Le forze di sicurezza israeliane sono in stato di allerta davanti al rischio di una “possibile violenta” rivolta palestinese, principalmente a Gerusalemme.
Estrema preoccupazione per la mossa di Trump e “per le possibili conseguenze” sulla stabilità in Medioriente è stata manifestata dall’Egitto, che denuncia la decisione degli Stati Uniti di riconoscere Gerusalemme quale capitale di Israele e respinge ogni effetto di questa decisione. La Turchia, poi, ha bollato come “irresponsabile e illegale” la decisione dell’amministrazione americana.
In seguito l’Europa e la maggior parte dei primi ministri e ministri degli esteri ha consigliato di ritornare sulle proprie decisioni, non riconoscendo un atto del genere che possa minare alla stabilità della pace. La soluzione dovrebbe essere invece cercare di unire le nazioni, e non dividerle a causa di una città unica al mondo, sostiene il primo ministro italiano Paolo Gentiloni.
Anche Papa Francesco è intervenuto per chiedere un dietrofront a Trump, senza successo: “Gerusalemme è una città unica, sacra per gli ebrei, i cristiani e i musulmani ed ha una vocazione speciale alla pace. Rispettate lo status quo”.
Per discutere la decisione degli Stati Uniti e le possibili contromisure, Palestina e Giordania hanno chiesto alla Lega Araba un ulteriore summit.