Arabia Saudita

La convergenze israelo-saudite in Medio Oriente

La situazione caotica e frammentata della regione mediorientale si caratterizza per una serie di fattori e alleanze che non sarebbero facili da spiegare se non facendo riferimento a concetti come quello di realpolitik e di mantenimento dell’equilibrio di potenza. Non sarebbe altrimenti possibile spiegare le convergenze di interessi tra Israele e l’Arabia Saudita, paesi che non potrebbero essere più differenti sul piano del carattere, della storia, dell’affiliazione religiosa, del sistema politico e della cultura.
Israele e Arabia Saudita non hanno relazioni diplomatiche, e, quest’ultima, che si presenta come difensore dei luoghi santi dell’Islam e dei diritti del popolo palestinese, non riconosce l’esistenza dello stato ebraico, ed è stata più volte protagonista della presentazione di piani di pace per la risoluzione del conflitto in Palestina. Stati differenti, all’opposto, nemici, ma che le circostanze e gli sviluppo della situazione sul campo ha fatto avvicinare nella conduzione della loro foreign policy. Israele e Arabia Saudita sono i due più importanti alleati strategici degli USA nella regione: entrambi garantiscono la perpetuazione dell’egemonia americana in cambio della protezione degli Stati Uniti e di accordi finanziari.
Che gli Stati Uniti siano riusciti a mantenere queste relazioni e trarne vantaggio senza troppi conflitti date le differenze tra di loro è tanto il risultato di esigenze sauditi e israeliani di base quanto la creatività e l’abilità diplomatica americana.
Eppure oggi gli interessi di Israele e Arabia sembrano convergere, lasciando agli Stati Uniti, su alcune questioni, il ruolo di terzo incomodo: sulle questioni relative all’Egitto (dove Riyadh e Gerusalemme accolgono con favore il ritorno dei militari) , e all’Iran (entrambi temono un Iran nucleare) può darsi che questo informale asse Tel Aviv-Riyadh abbia più influenza di quanto si pensi , in particolare sulla questione del nucleare iraniano.
Gli Stati Uniti sono pressati da entrambe queste potenze nella conduzione dei colloqui con l’Iran: l’eventuale raggiungimento di un accordo lascerebbe due dei suoi ultimi rimanenti alleati del Medio Oriente di stucco.
Da quando l’Iran ha lanciato segnali di apertura verso l’occidente, nel tentativo di riabilitare dei contatti con esso, Israele e Arabia Saudita “sembrano” convergere verso una conduzione di un alleanza segreta volta a costituirsi come nuova potenza regionale:sembra che i primi contatti tra israeliani e sauditi vi siano stati a seguito della guerra del libano nel 2006 [quando Israele attaccò Hezbollah nel sud del Libano]. Obiettivo di questi incontri segreti era il contenimento dell’Iran nella regione. Sembra che anche oggi, come si è lasciato sfuggire un funzionario di governo vicino a Netanyahu, Israele stia coordinando politiche condivise con i sauditi e il CCG [Consiglio Cooperazione del Golfo] per prevenire il riavvicinamento USA-Iran sul nucleare.
Ma la cooperazione tra questi paesi è stata ostacolata, ed è tuttora ostacolata, nel ruolo dell’Arabia Saudita nel fornire sostegno a gruppi che combattono l’occupazione israeliana, come Hamas e la Jihad islamica: questa ambiguità saudita è probabilmente l’ostacolo principale alla formazione di una alleanza tra i due paesi.
Oltre a ciò sicuramente d’ostacolo è l’opinione pubblica dei due paesi, ma nonostante le loro differenze Tel Aviv e Riyahd condividono molti punti di vista riguardo il contesto regionale: entrambi vogliono un accerchiamento dell’Iran per domarlo e neutralizzarlo, entrambi vogliono un cambio di regime in Siria [con le dovute differenze] ed entrambi sostengono il governo militare egiziano.
Insomma, questi due attori lavorano ossessivamente per la “stabilità” e il mantenimento del balance of power che li vede in posizione di dominio sull’area.
Allo stesso tempo c’è da parte americana una preoccupazione che un’eventuale alleanza formalizzata tra Tel Aviv e Riyhad (improbabile a breve termine), che sia in grado di unire la lobby di potere sionista a Washington con le capacità finanziarie saudite, possa rappresentare un pericolo per gli interessi americani nell’area, spostando equilibri e chiudendo spazi di manovra agli States.
CONVERGENZE SULL’EGITTO.
Come è stato brevemente accennato le affinità tra questi due paesi si danno a vari livelli.
Per quanto riguarda la situazione egiziana, entrambe sostengono il colpo di stato portato avanti dal generale Al-Sisi contro il presidente regolarmente eletto Mohammed Morsi, della Fratellanza Musulmana.
Dal punto di vista sionista la caduta di Mubarak non era stata ben accolta.
L’Egitto è l’unico paese arabo (insieme alla Giordania) che ha firmato un accordo di pace e di riconoscimento di Israele: con la firma del trattato di pace del 1978 ad opera di Sadat e Begin la leadership egiziana venne tagliata fuori dal contenzioso sul conflitto israelo-palestinese. Grazie a quegli accordi Tel Aviv e Washington facevano fuori il paese arabo che rappresentava l’ideologia panaraba, la guida del mondo arabo.
Con la presidenza Mubarak le cose si consolidarono: a seguito dell’elezione di Morsi, Israele temeva un governo a maggioranza islamica come quello della Fratellanza Mussulmana.
Inizialmente, sotto il governo della Fratellanza, nonostante i rapporti tra i governi fossero stati interrotti, proseguirono i dialoghi tra i vertici degli eserciti: sotto Morsi è proseguita a più non posso la distruzione dei tunnel che collegano Gaza-Egitto che portano beni di prima necessità e la politica del pugno duro verso i jihadisti nella penisola del Sinai è stata vista di buon occhio da Israele.
Nello stesso tempo Morsi, durante l’attacco israeliano a Gaza denominato “Pillar of Defense” [14-21/11/2012] prese una serie di misure che irritarono lo stato ebraico: tra queste vi furono il richiamo ufficiale dell’ambasciatore egiziano da Israele, l’espulsione di quello israeliano dal Cairo, l’apertura del valico di Rafah per ventiquattrore al giorno e l’invio di una delegazione ufficiale in visita alla Striscia di Gaza.
Questi fatti alimentarono le diffidenze da parte israeliana, diffidenze spazzate via dalla presa di potere da parte dei militari. C’è chi ha parlato di un coinvolgimento diretto del Mossad nella preparazione del colpo di stato, e sicuramente, come ebbe a dire il capo di stato maggiore dell’esercito israeliano Gabi Ashkenazi: “E’ chiaro interesse israeliano che l’Egitto rimanga stabile, favorevole all’Occidente e agli Stati Uniti, e che non si lasci trasportare da un’onda di estremismo religioso…Il ritorno dell’importanza dell’esercito e di un’autorità secolare capace di assicurare la stabilità del paese è una buona notizia”. Come ha rivelato un report del quotidiano israeliano Haaretz nei giorni precedenti il golpe Israele, avendo contatti diretti coi militari egiziani, promise un totale appoggio e garantì, per conto degli Stati Uniti, che gli aiuti non sarebbero stati fermati
Ciò che accade in Egitto è stato dunque visto? o preparato? come una manna dal cielo per Israele e per la stabilità regionale, prima che la Fratellanza avesse potuto mettere le mani sull’esercito, la polizia e l’intelligence e diventare una minaccia alla stregua dell’Iran, iniziando una cooperazione totale con Hamas, magari cancellando quel trattato 30nnale di pace e attaccando lo stato ebraico. E’ ironico che invece l’Arabia Saudita, stato che si rifà all’applicazione della Sharia’a, tema la presa di potere da parte di movimenti islamici nel suo paese e all’estero, soprattutto quelli legati alla Fratellanza Mussulmana.
Fino alla presa di potere, nel 2012, della Fratellanza, Riyahd forniva protezione e riconoscimento a questi ultimi: negli anni di Nasser i FM (Fratelli Mussulmani) venivano foraggiati con donazioni per combattere l’ideologia laica panaraba, in seguito, dopo la rivoluzione islamica iraniana, i sauditi usarono i Fratelli come difesa della leadership sunnita nel mondo mussulmano contro le rivendicazioni sciite. I sauditi dunque hanno usato la Fratellanza fino a quando quest’ultima non ha cercato di legittimarsi agli occhi del mondo islamico come regime ideologico e populista alternativo ai sauditi, anti-monarchico e repubblicano: il sostegno saudita al colpo di stato va letto dunque come una risposta alle sfide dei FM che non riconoscono il richiamo del regno di Riyhad ad essere il protettore dell’Islam.
La sua politicità è stata vista come una sfida alla monarchia, che continua a eroderle consensi, e le primavere arabe sono state interpretate da Riyhad come una sfida allo status quo e alla stabilità dell’area: ecco quindi come spiegare il sostegno saudita al colpo di stato egiziano, anche per dare un segnale alle opposizioni islamiste saudite che stanno cercando di organizzarsi politicamente per una primavera saudita. Il messaggio saudita è chiaro: zero tolleranza per chi usa l’Islam per perseguire programmi politici.
A seguito della presa di potere di Al Sisi il re Abdullah ha sostenuto il nuovo esecutivo con un prestito di 5 miliardi di dollari, sostituendosi agli Stati Uniti che hanno tagliato gli aiuti, e si è congratulato con i militari per il loro impegno nello sradicare il dissenso il caos e il terrorismo della Fratellanza. Israel and Saudi Arabia: amicizia per sempre forever? . WWW.rt.com/news/israel-saudi-alliance.

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