Siria

Siria, lo spettacolo dell’indifferenza

Bashar al – Assad, dopo che la presenza dell’Isis nel suo paese è stata ridotta sin quasi a scomparire, è pronto a riprendersi la Siria e per farlo ha deciso di colpire uno degli ultimi enclave sotto il controllo dei ribelli. Dal 18 febbraio le forze del regime hanno iniziato un’intensa campagna di bombardamenti aerei nella Ghouta Orientale, vicino alla città di Damasco, e questi attacchi secondo l’Osservatorio siriano per i diritti umani avrebbe già fatto più 500 morti e migliaia di feriti, e ad oggi più di 400.000 persone sono intrappolate senza acqua, cibo né medicinali.

E, mentre Assad, aiutato dall’Iran, colpisce la popolazione civile a Ghouta, Erdogan concentra i suoi attacchi contro la città di Afrin, in mano ai curdi. E proprio di fronte ai giochi di potere di potenze regionali e non, l’Onu continua a rimanere una forza inefficace. Il 24 febbraio, dopo svariati tentativi ostacolati dalla Russia, il Consiglio di Sicurezza ha finalmente raggiunto un accordo su un cessate il fuoco di 30 giorni, da implementare il prima possibile. Ma la decisione sembra non aver avuto alcun effetto nella Ghouta dell’Est, dove Assad, proprio poche ore dopo la votazione, si stava preparando ad un’invasione via terra. Questa risoluzione prevedeva delle “pause umanitarie”, ovvero che per almeno 30 giorni venisse rispettato il cessate il fuoco per cinque ore al giorno, dalle 9 alle 14, che consentisse ai civili di abbandonare le zone colpite dai bombardamenti e di permettere gli aiuti umanitari. La risoluzione è stata approvata anche dalla Russia di Putin, che fino ad ora aveva posto il veto a qualsiasi decisione delle Nazioni Unite riguardante il regime di Assad, suo alleato. Esenti dal cessate il fuoco saranno però gli attacchi contro l’Isis, al Qaida, al Nusra e altri gruppi affiliati ai terroristi, e Assad, l’Iran e la Turchia hanno utilizzato questa clausola come movente per continuare i bombardamenti su Ghouta e Afrin.

D’altronde la complessità del mosaico siriano rimane indecifrabile, troppi gli attori esterni coinvolti, troppe le guerre di procura che in Siria hanno trovato un terreno fertile. La Russia continua a fare della Siria la sua rampa di lancio per riguadagnare prestigio sullo scacchiere della politica internazionale, facendo valere il suo potere di veto nelle risoluzioni contro Assad. Iran e Turchia, invece, anch’esse spinte da interessi nazionali, hanno fatto del conflitto siriano il teatro di aspirazioni regionali. Infatti, altro teatro di continui attacchi è la zona di Afrin, controllata dai curdi e sotto attacco dal 20 febbraio.  Abbiamo qui un faccia a faccia tra Erdogan e Assad. Le forze turche, con il sostegno dell’Esercito siriano libero, hanno avviato l’operazione “Ramo d’ulivo”, con lo scopo di liberare il territorio dai curdi dell’Unità di protezione popolare (sigla YPG). I curdi sono importanti alleati degli Stati Uniti nella lotta contro lo Stato Islamico, ma anche la Turchia, e questa operazione rischia di rompere gli equilibri internazionali. In realtà i curdi hanno garantito la protezione della popolazione nella zona oltre alla stabilità, ma Erdogan non ha mai avuto particolare simpatia per loro, presenti anche a sud della Turchia, dove si sta verificando una vera e propria guerra interna. Il Kurdistan, in realtà, è una nazione ma non uno stato indipendente, che si divide tra il sud-est della Turchia, Iran, Iraq, Armenia e nord-est della Siria. Il Kurdistan iraqueno ha assunto sostanziale indipendenza, e dallo scoppio della guerra anche quello siriano ha assunto autonomia politica. L’intento della Turchia, dunque, sembra essere il massacro della popolazione curda e del suo sogno.

Non si sa quanto durerà l’assedio turco ad Afrin, ma Erdogan ha affermato che la Turchia non si fermerà fin quando il “lavoro non sarà finito”. Ma chi può sapere davvero se le mire del leader turco non vadano oltre.
Nel frattempo, pare che Assad abbia deciso di muoversi in sostegno dei curdi, allo scopo di ristabilire il controllo del regime su quella parte di territorio. Una critica nasce dal fatto che non ci siano state molte discussioni riguardo questo nuovo massacro, nessun hashtag o manifestazione di vicinanza a livello internazionale, e poca informazione sui media su questa nuova violazione della Carta delle Nazioni Unite.

 

Il 5 marzo 2018 è riuscito ad entrare a Ghouta il primo convoglio umanitario delle Nazioni Unite.
La notizia è stata confermata dal Comitato internazionale della Croce Rossa, dopo che il 4 marzo l’Onu aveva ricevuto il via libera dal governo di Damasco per l’ingresso degli aiuti nella regione assediata. Secondo l’ufficio delle Nazioni Unite per il coordinamento degli affari umanitari (Ocha), il convoglio, di 46 camion e che trasporta aiuti medici e cibo per 27.500 persone, è comunque insufficiente per risolvere la situazione nella città, e ancora molto deve essere fatto. L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha addirittura accusato il governo siriano di aver confiscato il 70 per cento delle forniture mediche inviate. Tra queste, kit chirurgici, insulina, apparecchiature per dialisi e altri materiali.

Pur avendo consentito l’ingresso degli aiuti umanitari, Damasco ha fatto sapere di essere intenzionato a proseguire l’offensiva sulla Ghouta orientale. Il presidente Bashar al-Assad ha dichiarato che non ritiene contraddetto il cessate il fuoco di cinque ore organizzati ogni giorno dal suo alleato principale, la Russia.

Il fallimento della tregua a Ghouta orientale è l’ultimo di una serie di accordi non rispettati nei sette anni di guerra in Siria. Situazioni simili – ribelli assediati e bombardati dalle forze alleate ad Assad – si erano già verificate nei mesi e negli anni scorsi. Inoltre in passato, come succede oggi, il governo siriano aveva sostenuto che i ribelli fossero praticamente tutti membri di Hayat Tahrir al Sham, gruppo considerato vicino ad al Qaida, legittimando i bombardamenti e le violenze come guerra contro il terrorismo. L’impressione è che anche questa tregua non durerà molto e che russi e forze alleate ad Assad riprenderanno presto gli intensi bombardamenti contro Ghouta orientale già visti nelle ultime due settimane. E che anche questa volta il mondo resterà a guardare.

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