“Il terribile naufragio a largo della Calabria è stato un vivido richiamo all’urgenza della nostra azione. Una soluzione equa e duratura è possibile solo attraverso un approccio europeo e bilanciato. Possiamo raggiungere più traguardi se agiamo assieme”.
Con queste parole la Presidente della Commissione Europea Ursula Von Der Leyen ha commentato quanto accaduto il 26 Febbraio 2023 davanti alle coste di Steccato di Cutro, in provincia di Crotone. Qui un peschereccio si è arenato sugli scogli in prossimità della spiaggia: la durezza delle condizioni atmosferiche e l’inadeguatezza del mezzo, unitamente alle polemiche già sorte sulle modalità dei soccorsi, hanno delineato i contorni della strage dove sono morte almeno 91 persone, la cui conta è purtroppo tutt’altro che conclusa.
I circa 80 superstiti hanno riferito di essere partiti dalla cittadina Turca di Izmin e che a bordo del mezzo vi erano fra le 180 e le 200 persone. Uno degli aspetti su cui vale la pena soffermarsi è la provenienza iniziale di coloro che hanno tentato la traversata per giungere in Italia.
La maggior parte proveniva infatti da Paesi devastati da un mix di problemi economico-sociali e legati al cambiamento climatico. Fra i luoghi di provenienza si annotano l’Afghanistan, dove oltre alle numerose questioni sorte col ritorno al potere dei taliban è in corso una pesante carestia, la Somalia, un paese in guerra da oltre 30 anni e dove imperversa un problema siccità, e la Siria, la cui popolazione è costretta ad affrontare numerose e ben note problematiche.
A livello globale è in atto ultimamente una recrudescenza di condotte ostative messe in atto da vari governi nazionali e internazionali per bloccare fisicamente o rendere particolarmente complicati i movimenti migratori. A partire dal purtroppo celebre accordo che l’Unione Europea strinse con la Turchia ormai quasi dieci anni fa, fino ad arrivare al rinnovo operato dal Governo Biden del blocco dei migranti ( inizialmente pensato nel periodo della Pandemia da Covid-19 ed apparentemente ancora giustificato dalle misure pandemiche) o della volontà del governo Inglese di trasferire i migranti irregolari che sbarcano sul suolo Britannico in Rwanda. Non è negabile la previsione di sempre più variegate e diffuse politiche di lotta all’immigrazione, raramente accompagnate da una ampliamento dei canali regolari di accesso.
Questa rigidità dei Paesi sviluppati fa da contraltare ad una realtà dove la maggior parte di migranti e sfollati finisce per essere ospitata in Paesi a basso reddito. Spesso i movimenti migratori, soprattutto quelli di natura così detta “climatica” sono inizialmente confinati a movimenti interni agli Stati, nei quali però il saturarsi dei luoghi risparmiati dalle crisi porta i cittadini a tentare la fuga per garantirsi un futuro. Una gran parte dei soggetti è restia ad allontanarsi sensibilmente dal Paese di origine conservando la speranza di farvi un giorno ritorno.
L’analisi dei dati grezzi dà un idea della portata del problema. In particolare, fa riflettere la statistica sui Paesi che accolgono il maggior numero di migranti. Varie agenzie internazionali (l’Internal Displacement Monitoring Centre, UNHCR, IPCC) forniscono infatti una panoramica sulla situazione nei Paesi meno sviluppati: l’86% degli sfollati usciti dal proprio paese di appartenenza è ospitato in paesi in via di sviluppo ed il 95% dei conflitti, registrati nel 2020, è avvenuto in paesi già ad alta vulnerabilità a cambiamenti climatici.
L’anno passato sono stati 33 milioni le persone che hanno dovuto abbandonare il proprio luogo d’origine a causa di disastri naturali. Le stime dell’IPCC riferiscono che circa il 40% della popolazione mondiale vive in zone sensibili al cambiamento climatico, ed è difficile pensare che tale numero possa diminuire.
La Turchia, sia per posizione geografica che per sviluppo economico, agisce da ponte fra l’Europa ed i Paesi in via di sviluppo, ospitando migranti che arrivano a piedi o via mare dall’Africa Subsahariana e al Bangladesh e al Pakistan.
Sono oggi in aumento le persone che partono dal vecchio Impero Ottomano cercando di sbarcare nella così detta “Fortezza Europa”, nonostante l’UE stessa abbia finanziato con miliardi di euro l’amministrazione Turca al fine di farle ospitare i migranti. Secondo l’ultimo rapporto di Frontex, nel 2022 sulle coste europee sono sbarcati circa 43.000 migranti, di cui la metà è sbarcata in Italia; dentro tale cifra, indicativa appunto dei soli sbarchi, non possono non essere considerate le persone disperse o morte in mare, che l’UNHCR stima in circa 4000 persone. Considerato ciò, anche la situazione interna Turca desta perplessità e preoccupazioni, sia sul piano economico che su quello politico, per non considerare in aggiunta le conseguenze del drammatico terremoto avvenuto il 6 Febbraio.
A inizio anno il tasso ufficiale di inflazione nel Paese era di circa l’80,21 %, mentre analisti indipendenti lo stimavano al 180%. Sul piano politico la figura di Erdogan è ormai dominante ed ha piano piano spinto ad abbracciare un estremismo di stampo islamico, come si può intendere dai suoi alleati politici alle prossime elezioni. La stretta di Erdogan traspare anche dalla forte repressione sulla stampa e sugli organi del terzo settore, acuitasi ancora di più a seguito del fallito colpo di stato del 2016; questo non ha però impedito il formarsi di una grossa coalizione che, guidata da Kemal Kılıçdaroğlu cercherà di vincere le prossime elezioni.
L’attivismo di Erdogan non si limita alla repressione interna: più volte infatti il Presidente turco ha manifestato la volontà di dare alla Turchia una propria sfera di influenza, esterna a qualsivoglia contrapposizione di blocchi. A denotare tale fenomeno si prenda come esempio la trattativa portata avanti sull’export di grano ucraino: per quanto la Turchia ospiti basi missilistiche statunitensi e sia parte della Nato.
Proprio l’appartenenza alla Nato, ulteriormente al già citato accordo sui migranti, e le modalità d’ingresso nella stessa hanno fornito un ulteriore mezzo di pressione al Presidente Turco; infatti a Giugno 2022 ha subordinato la ratifica dell’ingresso nell’alleanza di Svezia e Finlandia, all’essenziale estradizione da parte di questi due paesi di circa 70 persone considerate dalla Turchia come personalità ostili allo Stato.
La Finlandia da alcuni giorni ha così ottenuto la ratifica al proprio ingresso; tuttavia con la Svezia si sono avute le problematiche maggiori. Inizialmente vi sono state numerose proteste dinanzi all’ambasciata Turca a Stoccolma, ma è stata rilevante poi la richiesta presentata dalla Turchia di estradare Amineh Kakabaveh, deputata del parlamento svedese aventi origini Curde. Il ministro della giustizia svedese, rifiutandosi di accogliere tale richiesta, ha fatto notare che nel suo Paese ci sono giudici indipendenti a vigilare sul rispetto delle leggi. “Allora cambiate le leggi”, ha replicato il presidente turco.